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Dare e chiedere aiuto

Scrivo questo articolo perché alcuni fatti hanno stimolato il mio interesse.

Si tratta di episodi che hanno origini diverse, ma tutti hanno a che fare con un comportamento ricorrente, che a volte non è preso in considerazione.

Si tratta della relazione esistente tra le persone nel dare e ricevere aiuto.

In ambedue i casi si tratta di aspetti che toccano intimamente il vissuto ed il comportamento abituale di ciascuno di noi.

Che cosa vuol dire dare aiuto? Che cosa significa chiedere aiuto?

Pensando alla prima domanda, vengono in mente situazioni di bisogno, si pensa a persone indigenti, che hanno necessità quotidiana, oppure persone che sono in qualche stato di necessità meno carente di quello economico. Ad esempio persone che devono visitare un parente o un amico, ma non sono in condizione di farlo senza un aiuto esterno. Oppure si può trattare di un amico, un conoscente a cui necessita di avere una sorveglianza per un figlio o per una madre anziana mentre egli stesso si occupa di un impegno inderogabile. Può essere il caso, per noi molto recente e che conosciamo bene, della richiesta di collaborazione per procedere alle migliorie della palestra che frequentiamo, situazione che ci tocca da vicino. Ci sono queste e tante altre situazioni che certamente conosciamo. Ma l’aspetto che mi preme mettere in rilievo è che cosa vuol dire nella mente delle persone chiedere un aiuto.

Chiedere aiuto non è una cosa facile, perché si tratta di superare dei modelli di comportamento che ci impediscono di essere pro attivi. Quando abbiamo bisogno di un aiuto, uno dei pensieri che si passa per la testa può essere chiederci che cosa penseranno le persone che ci conoscono. Probabilmente si vedranno come incapaci di superare da soli la difficoltà che abbiamo di fronte, pensiamo che saremo giudicati non adeguati alla situazione sociale in cui noi stessi viviamo. Questi pensieri ci mettono in due situazioni: la prima è quella di sentirci inferiori e vulnerabili di fronte agli altri; l’altra ci costringe a rinunciare a chiedere l’aiuto di cui abbiamo bisogno, portandoci a rinchiuderci noi stessi.

Anche per quanto riguarda il dare aiuto potrei dire le stesse cose, sia pure di fronte a meccanismi capovolti.

Chi vede una persona in difficoltà infatti, prova il timore di farsi avanti per dare l’aiuto dell’altro richiede. L’aiuto richiesto non deve essere necessariamente esplicitato, come nel caso di una richiesta fatta voce oppure con uno scritto. La richiesta di aiuto può essere semplicemente qualcosa che vediamo, che riconosciamo come necessità, bisogno; l’aiuto può pervenire in modo semplice come attraverso un comportamento, un gesto, una richiesta non verbale.

Prendere atto di questi meccanismi ci può aiutare a comprendere i nostri comportamenti interiori, analizzarli e comprenderli nella loro origine per permetterci di fare la scelta più giusta, più adeguata alla situazione. Questa non deve essere necessariamente di adesione alla richiesta, ma ha bisogno di una risposta che soddisfi anche noi.

A questo punto ognuno potrebbe chiedersi che cosa c’entra questo discorso con lo yoga.

Se lo yoga è una filosofia, allora c’entra con la vita e quindi c’entra con le relazioni umane. Di conseguenza, se noi curiamo lo yoga senza curare le relazioni umane, rischiamo di fare un cattivo servizio a noi stessi, proprio perché cogliamo solo un aspetto, quello esteriore, della disciplina.

Molte volte in palestra mi sono trovato nella situazione di dover chiedere aiuto, soprattutto quelle richieste che si fanno in silenzio, a volte con uno sguardo pure con un sorriso.

Molte volte ho ricevuto aiuto, ad esempio tutte le volte che Cristina mi ha mostrato cosa fare e come migliorare la posizione, ma anche tutte le volte che, al martedì mattina, l’attività di Hatha yoga si svolgeva in coppia in cui ognuno, aveva il compito di aiutare il compagno. Sono stati davvero momenti divertenti e incoraggianti. A volte non era necessario, come ho detto anche in precedenza che ci fosse un aiuto diretto, è bastato uno sguardo d’incoraggiamento, quattro parole scambiate al termine della sessione, nello spogliatoio, in cui condividere i nostri risultati e mi sentivo sullo stesso piano.

Credo che comprendere l’importanza di sapere ricevere aiuto e donarlo serenamente e liberamente agli altri, ci liberi da costrizioni imposte da alcuni modelli di comportamento di cui faremmo volentieri a meno.

Per concludere, e per coloro che non l’avessero ancora sentita, suggerisco di chiedere a Cristina di leggere la storia del Buddha e del contadino che aveva perso le mucche, che ci ha detto venerdì 15 luglio durante una lezione di in yin yoga. L’ho trovata molto significativa e illuminante rispetto alle priorità che noi diamo alla nostra vita.

Buona pratica a tutti.  


Carmelo Stornello

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