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Yoga e maratona: perché la forza è nulla senza il controllo!

4 Novembre 2018: ho 3 ore, 58 minuti e 38 secondi per riflettere.

Gli ultimi 42 chilometri e 195 metri di un ciclo esistenziale che mi ha fatta maturare e crescere, tessendo un filo che lega lo yoga, la maratona e… la vita in generale!


Questo ciclo inizia più o meno un anno fa, quando, dopo 7 anni vissuti all’estero e qualche mese per riambientarmi alla vita del Belpaese, comincio a praticare yoga con Cristina presso Sadhana Yoga Studio e a correre seguita da Francesco di Base Running Torino.

Lo yoga, la corsa e le persone con cui condividere entrambe, diventano via via parte integrante della mia nuova vita di “cervello in ritorno dalla fuga”.


Questa nuova vita subisce una svolta quando, intorno a Maggio 2018, da una parte mi approccio all’ Ashtanga yoga, affiancandolo all’Hatha, e dall’altra inizio a covare il desiderio di correre una Maratona. Quasi come se il mio corpo e la mia mente mi dicessero: “prova a vedere qual è il tuo limite… e magari, già che ci sei, superalo!”

E’ allora che comincio ad alternare costantemente gli allenamenti estivi di corsa con Hatha per distendere le fibre muscolari e Ashtanga per rinforzarle, notando subito dei giovamenti, sebbene raggiungibili solo con tanto impegno e dedizione.

Il rientro dalle vacanze estive, poi, dà il via agli allenamenti specifici per la maratona. Le uscite domenicali si fanno sempre più lunghe e ogni volta anche solo un chilometro in più si rivela una conquista. La pratica yoga si fa più impegnativa, soprattutto con l’Ashtanga, nel quale settimana dopo settimana cerco di mettere sempre più tenacia per riuscire a eseguire gli asana meno semplici per me sia a causa della mia conformazione fisica che del podismo: grandi sfide per le anche con le varie janu sirsasana e marichyasana e le spalle con utthita trikonasana – parsvakonasana, per citarne solo alcune.


Nel frattempo anche il lavoro mi impegna non poco, con difficoltà che temo mi tolgano il tempo per praticare e allenarmi quanto vorrei. Inizio, però, ad intuire che yoga e maratona possano reciprocamente influenzarsi positivamente, che si completino e che insieme abbiano un impatto sulla vita di tutti i giorni decisamente positivo, soprattutto nei momenti di più grande crisi. Ragione per la quale mi sento sempre più motivata a non saltare nemmeno un appuntamento con nessuna delle due, costi quel che costi.


Settembre e Ottobre scorrono così, tra duri allenamenti di corsa, una pratica sempre più costante e il lavoro che non lascia tregua. Seguo però un importante consiglio di Cristina: ogni mattina fare anche solo tre saluti al sole per attivare tutte le energie utili per la giornata.


E’ così che finalmente arriva il 4 Novembre 2018, dicevamo… e, con questo giorno, tanto tempo e tanti chilometri per riflettere (e anche un po’ soffrire!).

A cosa ha portato tutto questo lavorio della mente (e delle gambe)?


Iniziamo con il primo grande insegnamento: la vita va vissuta senza giudicarsi e senza forzare laddove si incontra una difficoltà.

Se si considera una difficoltà della vita come un asana complicato, che proprio non si riesce ad eseguire e che sembra impossibile, lo yoga fa capire che non serve prendersela con se stessi, ma concentrando il respiro nella zona del corpo che lo ostacola, piano piano quel determinato muscolo o articolazione che tanto ci fa penare si libera e si distende, permettendo quasi per magia una corretta esecuzione. Nel mio caso uno di questi è stato ardha padmasana, con somma gioia della sottoscritta e di Cristina!

Nella vita quotidiana questo ci suggerisce che nelle difficoltà è inutile innervosirsi, ma è sempre meglio prendersi il tempo per fare un bel respirone e affrontare gli ostacoli uno alla volta, così da evitare di impantanarsi.

E nella corsa vale lo stesso: se non si riesce a tenere un determinato ritmo, se le ripetute quella volta proprio non vengono e le gambe sembrano di cemento, meglio prendersi del tempo e fare il lavoro un altro giorno, piuttosto che ostinarsi con il rischio persino di infortunarsi.


Secondo grande insegnamento: abbiamo tutti bisogno del nostro “cane a faccia in giù”.

Nella pratica il punto di arrivo di una determinata sequenza, l’asana che aiuta a riprendere fiato prima di ricominciare è adho mukha svanasana, che nella mia mente rappresenta un po’ il ritorno a casa, il rientrare nella propria comfort zone.

Durante gli allenamenti, nel momento in cui con il coach si è capito quale sarebbe dovuto essere il mio “ritmo maratona”, quello è diventato un po’ il mio “cane a faccia in giù” della corsa: quella condizione di quiete nello sforzo che aiuta a tenere una respirazione sostenuta, ma pur sempre confortevole.

Nella vita questo è rappresentato da quei momenti di sosta di cui tutti noi abbiamo bisogno a seguito di periodi di forte sollecitazione come, per esempio, scadenze al lavoro o questioni familiari importanti, dove però le circostanze ci richiedono comunque di rimanere vigili e reattivi… in sostanza non “sederci sugli allori”.


Terzo grande insegnamento: non serve dare tutto all’inizio, con il rischio di non avere più forza ed energie quando più se ne ha bisogno. Nella pratica, così come nella corsa, all’inizio è necessaria un’esecuzione calma e controllata che non spinga al massimo: non solo per preservarsi, ma anche per interrogare il corpo sul proprio stato e avere la lucidità per comprendere come affrontare al meglio eventuali situazioni critiche una ad una. E lo stesso è applicabile al nostro quotidiano, dalle più banali mansioni lavorative, alla gestione delle relazioni interpersonali.

Si tratta di una fase di test, dove si controlla che tutti gli ingranaggi siano ben oliati… e se non lo sono? Beh… si passa allora al quarto e ultimo grande insegnamento.


Il fulcro di tutto questo, infatti, è uno solo: il respiro.

Il respiro aiuta ad eseguire gli asana correttamente, affrontando uno a uno i blocchi di determinate zone del corpo e della mente; aiuta a controllare il ritmo maratona e a curare i dolori che possono incorrere correndo; aiuta a gestire le emozioni nella vita di tutti i giorni.

Non a caso in sanscrito si chiama pranayama: prana è forza e ayama è controllo. Lo yoga non insegna solo il controllo e la corsa non solo la forza, ma entrambe hanno bisogno dell’altra componente, per far sì che le esecuzioni non solo siano corrette, ma portino gratificazione.


Perché, parafrasando una pubblicità di qualche tempo fa, “la forza è nulla senza il controllo”.


E, non fosse stato per la pratica di entrambe le discipline, non sarei riuscita a raggiungere un obiettivo tanto insperato solo qualche mese fa: chiudere la regina delle corse in meno di 4 ore… e al mio primo tentativo!

3 ore, 58 minuti e 38 secondi, 42 chilometri e 195 metri che meritano tutta la mia gratitudine!

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